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Vorrei una politica pedagogica.

Foto di congerdesign da Pixabay

 

E’ qualche tempo che penso a come scrivere alcuni pensieri, il terrore di essere retorica, anacronistica, fraintesa mi ha accompagnato per un po’. 

In questo ultimo periodo si parla di regolarizzazione dei lavoratori agricoli, dello sfruttamento, delle condizioni di miseria, del degrado e delle condizioni disumane presenti in moltissimi campi. Si parla anche di tutti gli esseri umani presenti sul territorio, le persone che si occupano delle nostre case, dei nostri nonni, che costruiscono le nostre abitazioni, che lavorano e vivono, tutto questo senza riconoscimento alcuno. 

Vedo commenti rabbiosi al riguardo, come se il fatto di nascere in un paese povero ti tolga il diritto di equa retribuzione, esistenza e dignità. 

Qualche giorno fa ho rivisto Pane e Libertà, un vecchio film che racconta la vita di Giuseppe Di Vittorio, nato a Cerignola, in Puglia, terra natale dei miei nonni paterni. Ricordo che il mio bisnonno, Michele Balducci, me ne aveva parlato, era un suo compagno, un amico, un bracciante, avevano preso la licenza di terza elementare insieme. “Peppino passava ogni momento sui libri e aveva fatto di tutto per creare una piccola scuola serale per tutti quelli che non sapevano né leggere né scrivere”, raccontava. Che lusso poter studiare, quanto amore per i libri e per le parole. 

Quando Di Vittorio ha iniziato a promuovere lo sciopero per chiedere ai baroni e ai principi delle condizioni migliori per tutti i lavoratori sfruttati, un pochino di cibo in più (un pezzo di pane messo in acqua calda e un goccio di olio erano troppo poco per persone che lavoravano 12/13 ora al giorno), qualche lira aggiuntiva e iniziava ad essere ascoltato dai braccianti, hanno provato a farlo tacere, a rimettere tutti in riga, con la violenza, con i fucili. Di Vittorio era diventato una persona pericolosa, da fermare, da arrestare, un ricercato. 

Nonno Michele mi aveva raccontato di averlo aiutato a nascondersi nella cesta dei panni sporchi. Purtroppo non ricordo altro, ero troppo piccola e immatura per cogliere la ricchezza di ciò che avevo di fronte. Vedere quel film, ripercorrere quei giorni, quelle lotte, mi ha fatto provare un grandissimo senso di orgoglio, poi dolore, amarezza, rabbia e una gran voglia di continuare a credere che è possibile cambiare ciò che non va. Forse lo spirito rivoluzionario che sento nelle viscere, la voglia di giustizia sociale, di diritti, di tutela delle minoranze e degli oppressi, arriva proprio da lì o forse ci si nasce e basta, ma è per questo che mi occupo di Educazione e Pedagogia, perché è uno di quei mestieri di chi desidera un mondo diverso, fatto di integrazione, possibilità, di cambiamento e di persone.

Nei primi del ‘900 c’era la miseria vera, si moriva per nulla, per un’idea, per un comando, per freddo o fame, le minacce tenevano a freno chiunque volesse imporre la propria dignità. 

Sono passati più di 100 anni e la situazione è molto simile. I poveri vengono sfruttati, si dorme ancora ammassati in catapecchie per un salario che non si può nemmeno definire tale, le tutele sono ancora inesistenti e non tutti gli uomini e non tutte le donne sembrano avere lo stesso diritto alla vita. 

Aboubakar Soumahoro, portavoce e bracciante agricolo, dirigente sindacale italo-ivoriano della USB (Unione Sindacale di Base), laureato in sociologia, con il suo italiano raffinato ci ricorda ancora quanto l’esempio di Di Vittorio sia urgente e attuale: 

“Siamo esseri umani e non braccia. Subordinare la nostra regolarizzazione alla verdura e alla frutta, che rischiano di marcire nei campi, è cinismo. L’Essere Umano non deve essere al servizio del cibo ma è il cibo che deve essere al servizio dell’Essere Umano. Strumentalizzare la nostra miseria sociale e lavorativa, seduti nelle sontuose stanze del potere per convenienza politica, è cinismo disumano. Ci rivolgiamo alle forza politiche di questo governo, regolarizzate tutti gli esseri umani, non per convenienza ma per dovere di Stato – come diceva Di Vittorio. Ci rivolgiamo alle forza politiche di questo governo: Liberate tutti i braccianti, italiani e non, dallo strapotere della grande distribuzione organizzata, se volete davvero combattere lo sfruttamento e il caporalato. Nessuna demagogia politica sulla nostra pelle, abbiate l’audacia di regolarizzare le persone non per utilità di mercato ma semplicemente perché sono degli Esseri Umani.” 

Ecco le parole di un uomo, che sottolinea come la tutela dei lavoratori deve essere fatta a prescindere dal paese di nascita o dal colore della pelle, perché si è tutti Umani. Pare assurdo ricordarlo ma purtroppo occorre ancora farlo. 

Ecco, vorrei che dalla storia si imparasse per diventare persone migliori, cittadini migliori, vorrei che gli ideali di unità e giustizia unissero ancora le persone a prescindere dalle fazioni politiche, il colore, la classe sociale. Vorrei, in parlamento persone semplici e preparate, per le quali la cultura, l’istruzione, il lavoro, l’impegno e i diritti umani fossero valori fondanti, vorrei che non si guardasse più dall’alto al basso nessuno, che tutti avessero la possibilità di scegliere della propria vita, di imparare, di esistere. Vorrei che nessuno mai possa più lucrare sulle vite altrui e che, a tutti, fosse data la possibilità di dimostrare il proprio valore. 

Vorrei una politica pedagogica, volta alla formazione dei cittadini, che sia un modello e non un circo di frasi fatte e cattive abitudini. Vorrei che la cosa pubblica fosse pubblica per davvero. Vorrei che si parlasse più di responsabilità civile e individuale, vorrei che alla guida di un paese ci fossero persone capaci, attente al bene degli altri e non al proprio tornaconto, in grado di guardare oltre il proprio naso. 

Fino a che si continuerà a morire perché si è nati da una parte piuttosto che da un’altra,  per delle idee, per delle condizioni di lavoro, per i regimi autoritari, per le diversità, per la povertà e finché, al mondo, ci saranno persone di seconda o terza categoria, sarà bene nutrirsi ancora di Pane e Libertà, per ricordarsi quanto ancora ci sia da fare per superare le divisioni presenti. 

Vorrei una politica pedagogica perché non c’è nulla di più pedagogico, di più educativo, a mio avviso, di una buona politica. La Politica è – dal dizionario Treccani – “la scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno, per oggetto, la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato, la direzione della vita pubblica; le norme, i principi, le regole.” La politica parla, o dovrebbe parlare, di scelte umane, di cittadinanza. Ha un valore immenso e per questo deve, o dovrebbe essere, virtuosa, giusta, volta al bene della collettività.

Se ancora questo è un miraggio, se ancora si inneggia all’annientamento dell’altro, alla sua disumanizzazione e al concetto di razza, se l’ignoranza diventa un vanto e la superficialità un modo di vivere, se la tolleranza e l’empatia rimangono parole vuote e lontane, vuol dire che, come educatori, insegnanti, cittadini e genitori, abbiamo fallito, perché questa non è libertà di pensiero, ma un oltraggio alla vita.

I buoni esempi del nostro passato ci hanno permesso di vivere, oggi, con maggiore giustizia sociale rispetto a ieri. A noi, oggi, sta la scelta di fornire la stessa possibilità alle persone di domani.  

 

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